Ormai sono abituato a soffrire, e forse ne ho la necessità.— Eugenio Montale
Ormai sono abituato a soffrire, e forse ne ho la necessità.
Abbiamo fatto del nostro meglio per peggiorare il mondo.
E senti allora, se pure ti ripetono che puoi, fermarti a mezza via o in alto mare, che non c'è sosta per noi, ma strada, ancora strada, e che il cammino è sempre da ricominciare.
Il mondo muore di noia, l'impiego del tempo è letteralmente spaventoso. I giovani che si agitano un po' dovunque non se ne rendono forse conto, ma il loro vero problema non è né sociale né economico. A loro non interessa più nulla, ecco il fatto.
È molto triste per i superstiti individui che l'arte moderna, nata come tragedia, si sia capovolta in commedia o in farsa.
Essere sempre infelici, ma non troppo, è condizione sine qua non di piccole e intermittenti felicità.
Quelli che soffrono d'indigestione stanno male quanto quelli che muoiono di fame.
Il soffrire è umano non è elegante.
Ci sono sofferenze che scavano nella persona come i buchi di un flauto, e la voce dello spirito ne esce melodiosa.
Nella vita ci sarà sempre un bastardo che ti farà soffrire, ma sarà l'unica persona che riuscirai ad amare veramente.
Quelli che soffrono davvero non formano la plebe, non formano un gruppo. Chi soffre, soffre in solitudine.
Quando si soffre, si crede che di là dal cerchio esista la felicità; quando NON si soffre si sa che questa non esiste, e si soffre allora di soffrire perché non si soffre nulla.
L'elemento storico nelle cose non è che l'espressione della sofferenza passata.
Posso simpatizzare con qualsiasi cosa, tranne che con la sofferenza.
La sofferenza dei monaci e della monache, dei solitari d'ambo i sessi, non è una sofferenza della sessualità ma di maternità e di paternità, cioè di finalità.
Non mi lasciare, resta, sofferenza!