Ormai sono abituato a soffrire, e forse ne ho la necessità.
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
L'uomo dell'avvenire dovrà nascere fornito di un cervello e di un sistema nervoso del tutto diversi da quelli di cui disponiamo noi, esseri ancora tradizionali, copernicani, classici.
È molto triste per i superstiti individui che l'arte moderna, nata come tragedia, si sia capovolta in commedia o in farsa.
La scienza del cuore non è ancora nata, ciascuno la inventa come vuole.
Non riesco a trovare alcun nesso tra una pedata al pallone, o agli stinchi di qualcuno, e il così detto orgoglio nazionale. Piedi e patria per me non sono omogenei: non si fondono.
La sofferenza dei monaci e della monache, dei solitari d'ambo i sessi, non è una sofferenza della sessualità ma di maternità e di paternità, cioè di finalità.
C'è qualcosa di terribilmente morboso nella compassione che oggi si prova per la sofferenza. Si dovrebbe provare simpatia per il colore, la bellezza, la gioia di vivere. Quanto meno si parla dei mali della vita, tanto meglio è.
Tanti sono morti disperati. E questi hanno sofferto più di Cristo. Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente.
L'uomo è nato per soffrire. Se non soffre, soffre.
Quelli che soffrono davvero non formano la plebe, non formano un gruppo. Chi soffre, soffre in solitudine.
L'uomo soffre forse di più o, se vogliamo, ha minore resistenza, mentre invece la donna soffre sempre senza colpa.
Soffrire significa non poter mangiare né dormire, altrimenti è letteratura.
L'animale della terra che soffre di più fu quello che inventò il riso.
La coppa della sofferenza non ha la stessa misura per tutti.
Che cos'è il genio se non l'arte di rendere gradevole la sofferenza?