Non ci sono malattie, ci sono soltanto malati.
Un professore disse: "La gente non è interessata alla libertà, ma alle uova e al prosciutto". Al che ho replicato: "Dieci anni in prigione con solo uova e prosciutto a colazione possono curare tutto ciò".
Malattia e solitudine sono affini. Alla minima malattia, l'uomo si sente ancora più solo di prima.
Le malattie, specialmente le lunghe malattie, sono anni di apprendistato dell'arte della vita e della formazione dello spirito.
La malattia è un linguaggio comunicativo, non un ammasso anarchico di cellule impazzite. Succede che il nostro corpo non sia soddisfatto della vita che fa e si lamenta, tenti di opporsi, critica il cervello per le sue scelte.
L'amore d'oggi è una malattia che entra nel sangue con il contatto; il resto è letteratura romantica del passato, è chiacchiera, è retorica; può essere tutt'al più contorno, ma non è il nocciolo.
Quando la malattia entra in una casa non si impossessa soltanto di un corpo, ma tesse tra i cuori un'oscura rete che seppellisce la speranza.
Le nostre malattie sono nuove, come nuovo è il nostro genere di vita.
Nella malattia il dolore fine a se stesso non va mai accettato e va contrastato con qualsiasi mezzo. La malattia deve aumentare e non diminuire il rispetto per la libertà, l'autodeterminazione e la personalità dell'individuo.
Fa bene qualche volta essere malato.
Mi piace la convalescenza: è la cosa per cui vale la pena ammalarsi.