La malattia è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione.
È proprio la religione vera quella che non occorre professare ad alta voce per averne il conforto di cui qualche volta - raramente - non si può fare a meno.
A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure.
L'uomo è un animale molto più semplice del cane perché sente di più e più facilmente. Quando incontra un altro uomo gli tocca la mano e sembrerebbe quasi di non curarsi di quanto sta dietro di questa mano.
Ogni volta che vedo una montagna mi aspetto che si trasformi in un vulcano.
La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi.
A forza di credersi malato, lo si diventa.
Le nostre malattie sono nuove, come nuovo è il nostro genere di vita.
Non ci sono malattie, ci sono soltanto malati.
Trarre dalla malattia, specialmente quando non è veramente tale, la maggior dolcezza possibile. Essa ne contiene molta.
Se so che ho una cosa grave e so che esiste, non mi preoccupo, me ne occupo.
Quando la malattia entra in una casa non si impossessa soltanto di un corpo, ma tesse tra i cuori un'oscura rete che seppellisce la speranza.
La malattia è un linguaggio comunicativo, non un ammasso anarchico di cellule impazzite. Succede che il nostro corpo non sia soddisfatto della vita che fa e si lamenta, tenti di opporsi, critica il cervello per le sue scelte.
Una malattia non conta nulla, quando non si hanno ragioni per desiderare di guarirne.
Sempre più mi divenne evidente che per le persone colpite Dio destina i giorni di malattia a diventare giorni di raccoglimento interiore.
A dire il vero, non è la morte, è la malattia quello che temo, l'immensa umiliazione legata al fatto di languire nei paraggi della morte.