La morte non è mai banale: è solennità, è mistero.
Ciascuno di noi vive nell'immaginazione altre vite, alimentate dai testi letterari e dai media. Per loro tramite tenta di porre rimedio alla limitatezza della propria esistenza.
Non penso alla morte, ma accetto il fatto che sia parte del gioco.
Hai notato che solo la morte ci ridesta i sentimenti? Ma lo sai perché siamo sempre più giusti e generosi con i morti? È semplice. Verso di loro non ci sono obblighi. Se un obbligo ci fosse, sarebbe quello della memoria, e noi abbiamo la memoria corta.
Sappiate che la morte vi sorveglia, gioir nei prati o fra i muri di calce, come crescere il gran guarda il villano finché non sia maturo per la falce.
Mi scrive l'amica di Londra: "A giudicare da certi cimiteri ci sarebbe da pensare che noi trattiamo i nostri cari meglio da morti che da vivi.
Sono sempre ossessionato dal pensiero della morte: v'è una vita nell'aldilà? E se c'è, mi potranno cambiare un biglietto da cinquanta?
Sapete come vi darei epigrammi a non finire? Basta portarmi via, lontano dal mio amore.
La morte è un'usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare.
L'eccesso di dolore per la morte è follia; perché è una ferita ai viventi, e i morti non la conoscono.
È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato.
La natura ci destinò per medicina di tutti i mali la morte.