Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.
Forse al blu non c'era fine, forse cielo e mare continuavano a specchiarsi l'uno nell'altro in eterno, senza mai congiungersi. Era qualcosa di troppo grande per poter anche solo essere pensato, era l'infinito.
La condanna degli esserti mortali, o forse il loro dono, è questo: bisogna vivere senza capire.
La vita procede a spirale, ci illude fino all'ultimo che le cose siano cambiate, per poi riportarci al punto di partenza.
Si pensa che i grandi accadimenti debbano preannunciarsi in qualche modo. Che quando qualcosa cambia o svanisce, il mondo debba piangerne la perdita.
La vita è un'eterna fuga da se stessi.
L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Nomi e parole sono questo. Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnàti.
I nostri ricordi sono schedari consultati e poi restituiti in disordine da autorità che noi non controlliamo.
I ricordi si interpretano come i sogni.
Il ricordo ci lega a una parte consumata della nostra vita.
Il ricordo è un compromesso: gli uomini si difendono con quello.
Il ricordo è una pietra che ostacola il cammino della speranza.
Chi non ricorda, non vive.
Chiama i ricordi col loro nome volta la carta e finisce in gloria.
I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia.