Eroismo e santità, virtù secondarie. Ma bisogna aver dato prova di sé.
Caro compatriota, devo umilmente confessarlo. Sono sempre stato pieno di vanità da scoppiare. Io, io, io, ecco il ritornello della mia cara vita, riecheggiante in tutto quel che dicevo.
In fondo non c'è idea cui non si finisca per fare l'abitudine.
Tutte le rivoluzioni moderne hanno avuto per risultato un rafforzamento del potere statale.
Il contrario di un popolo civilizzato è un popolo creatore.
Ci si stanca della pietà, quando la pietà è inutile.
I veri eroi non sono mai perfetti come le leggende che li circondano.
Diventare un eroe è come vincere la professione più corta sulla terra.
Nel piccolo italiano medio c'è una zona nobile, un soprassalto di dignità che non arriva all'eroismo ma che lo spinge ad agire, anche solo con una dimostrazione di affetto e di appoggio all'amico.
L'imbecille finisce dove comincia l'eroe.
Penso a un eroe come a qualcuno che comprende la responsabilità che deriva dal proprio essere libero.
L'eroe non è colui che non cade mai ma colui che una volta caduto trova il coraggio di rialzarsi.
Eroe è uno che sta di fronte a tanti. Nella guerra moderna questa posizione viene raggiunta, al più, dal pilota di un bombardiere, uno che sta addirittura al di sopra di tanti.
La società borghese manca di eroismo.
L'eroe è sempre quello che resta, e il colpevole chi abbandona il campo.
I veri eroi sono quelli che ogni giorno si alzano dal letto e affrontano la vita anche se gli hanno rubato i sogni e il futuro. Quelli che alzano la saracinesca di un bar o di un'officina, che vanno in un ufficio, in una fabbrica. Che non lottano per la gloria o per la fama, ma per la sopravvivenza.