Il male è già mezzo guarito quando se n'è scoperta la causa.
È necessario che abbiamo due risoluzioni uguali: vedere le erbe cattive che crescono nel nostro giardino ed avere il coraggio di volerle strappare; infatti il nostro amor proprio, che è ciò che produce queste impertinenze, non morirà fino a che vivremo.
L'oscura luminosità della fede che penetra nel nostro spirito non con la forza di discorsi o argomentazioni, ma con la sola dolcezza della sua presenza, induce l'intelletto a credere e obbedire così perentoriamente, che la certezza che ci dà della verità supera tutte le altre certezze del mondo.
È necessario sopportare gli altri, ma in primo luogo è necessario sopportare se stessi e rassegnarsi ad essere imperfetti.
Bisogna avere un cuore capace di pazientare; i grandi disegni si realizzano solo con molta pazienza e con molto tempo.
È uno sbaglio, se non un'eresia, voler bandire la vita devota dalla truppa dei soldati, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei prìncipi, dal ménage delle persone sposate.
Mi piace la convalescenza: è la cosa per cui vale la pena ammalarsi.
Il malato è un veggente, nessuno possiede un'immagine del mondo più chiara della sua.
Nella malattia il dolore fine a se stesso non va mai accettato e va contrastato con qualsiasi mezzo. La malattia deve aumentare e non diminuire il rispetto per la libertà, l'autodeterminazione e la personalità dell'individuo.
Ci sono rimedi peggiori della malattia.
Le malattie sono più intelligenti di noi, trovano la risposta dei nostri problemi prima della ragione.
La malattia mentale allora esprime contemporaneamente un movimento di rottura (autonomo e inconsapevole) con le forme di vista istituzionalizzate e lo stacco che il movimento stesso subisce.
La malattia è un linguaggio comunicativo, non un ammasso anarchico di cellule impazzite. Succede che il nostro corpo non sia soddisfatto della vita che fa e si lamenta, tenti di opporsi, critica il cervello per le sue scelte.
Chi non sente il suo male è tanto più malato.
Per malattia si deve intendere un intempestivo approssimarsi della vecchiaia, della bruttezza e dei giudizi pessimistici cose che sono in relazione fra loro.
A dire il vero, non è la morte, è la malattia quello che temo, l'immensa umiliazione legata al fatto di languire nei paraggi della morte.