Si aspira ad avere un lavoro, per avere il diritto di riposarsi.
Troppo sovente, mi pare, l'immagine di Walt Whitman che i commentatori hanno dinanzi agli occhi è quella del vecchio barbuto e secolare, intento a contemplare la farfalla o a comprendere nelle occhiaie mansuete la serenità finale di ogni gioia e miseria dell'universo.
Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte.
Tànatos. Che per nascere occorra morire, lo sanno anche gli uomini. Non lo sanno gli olimpici. Se lo sono scordato. Loro durano in un mondo che passa. Non esistono: sono. Ogni loro capriccio è una legge fatale. Per esprimere un fiore distruggono un uomo.
I lavativi hanno la pelle dura.
Nella vita succede a tutti di incontrare una troia. A pochissimi di conoscere una donna amante e onesta. Su cento, novantanove sono troie.
Lavorare è meno noioso che divertirsi.
Lavorare stanca.
Il lavoro è tenue, ma darà non tenue gloria.
Un uomo non è un pigro, se è assorto nei propri pensieri; esistono un lavoro visibile ed uno invisibile.
Questo secolo di pedagogia proletaria predica la dignità del lavoro, come uno schiavo che calunnia l'ozio intelligente e voluttuoso.
Più avete da lavorare e più dovete pregare, per essere strumenti docili nelle mani di Dio.
Tutta la grandezza del lavoro è dentro l'uomo.
Il lavoro è l'amore reso visibile.
Legittimo è il desiderio del necessario, e il lavoro per arrivarci è un dovere: «se qualcuno si rifiuta di lavorare, non deve neanche mangiare».