L'invidia è il tormento dell'impotenza.
Bisogna sottrarsi tanto alla rivincita dei nemici quanto al compianto impotente di coloro che ci amano.
Le virtù vengono perdendo i tratti dell'abnegazione per assumere quelli della capacità di autorealizzazione. E, come già per gli antichi, la felicità lungi dall'essere concepita come premio della virtù tende a coincidere con il suo esercizio.
Il magnanimo non guarda gli altri non perché li sottovaluta, ma perché trova nel compito che si è prefisso la propria misura.
Dalla tecnica non giunge la salvezza ma almeno è garantito l'aiuto.
L'invidia del cretino per l'uomo brillante trova sempre qualche consolazione nell'idea che l'uomo brillante farà una brutta fine.
L'invidia è il più stupido dei vizi, perché non esiste un solo vantaggio che si guadagni da esso.
L'esaltazione degli antichi scrittori procede non dalla reverenza per i morti, ma dallo spirito di rivalità e dalla reciproca invidia dei vivi.
Spesso si fa pompa delle passioni più delittuose; ma l'invidia è una passione timida e vergognosa che non si osa confessare.
L'invidia e le teste vuote vanno sempre insieme.
L'invidioso mi loda senza saperlo.
Anche in uno stato oppresso c'è la possibilità per un uomo saggio di manifestarsi, e in uno fiorente e felice regnano la sfrontatezza l'invidia e mille altri vizi che rendono inerti.
Il vasaio ce l'ha con il vasaio e l'artigiano con l'artigiano, il mendico invidia il mendico e il poeta il poeta.
Pochissime persone parlano chiaramente e volentieri dell'invidia che provano: parlarne apertamente inibisce perché è come mettersi a nudo, svelare la parte più meschina e vulnerabile di sé.
Quando non si hanno più capelli, si trovano ridicoli i capelli lunghi.