Il lieto fine è la nostra fede nazionale.
Oggi il consumatore è la vittima del produttore, che gli rovescia addosso una massa di prodotti ai quali deve trovar posto nella sua anima.
Nella violenza ci dimentichiamo chi siamo.
La nevrosi moderna è cominciata con le scoperte di Copernico.
Il domicilio del proprio io, come quello dell'anima, non lo si può trovare in un libro.
Non arriverai mai alla fine del viaggio, se ti fermi a lanciare un sasso a ogni cane che abbaia.
Noi sappiamo che la bontà dei fini non giustifica l'uso dei mezzi cattivi. Ma che dire delle situazioni così frequenti oggi, in cui mezzi buoni danno risultati finali che si rivelano cattivi?
Un fine autentico può fare a meno di speranze e anche di ogni probabilità di essere raggiunto.
Fine ultimo di tutto, la fine.
Il presente non costituisce mai il nostro fine. Passato e presente sono mezzi, solo l'avvenire è il nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e preparandoci sempre a essere felici è inevitabile che non lo siamo mai.
C'è una fine per tutto e non è detto che sia sempre la morte.
Da qualche parte esiste una fine. Solo che non si trova un cartello con scritto "Ecco, questa è la fine", come al gradino più alto di una scala non si trova scritto: "Attenzione, questo è l'ultimo gradino. Non fate un passo oltre."
La percezione della fine è dentro ciascuno di noi, è uno stigma della specie, un marchio della sua caducità.
Il fine può giustificare i mezzi purché ci sia qualcosa che giustifichi il fine.
A cattivo principio cattiva fine.