Il fine può giustificare i mezzi purché ci sia qualcosa che giustifichi il fine.
Finché l'essere umano conserva un soffio di vita, può perfezionarsi ed essere utile agli altri uomini. Ma egli può esser utile agli altri uomini, solo perfezionandosi e può perfezionarsi, solo rendendosi loro utile.
Ama ogni vicino come te stesso, ma ama due vicini più di te stesso.
Amare, in generale, significa voler fare del bene.
Quando sappiamo che un uomo si prepara a morire siamo buoni con lui, lo amiamo. E allora come possiamo non amare tutti, dato che sappiamo che ognuno si prepara?
Per essere felici bisogna credere anzitutto nella possibilità di esserlo: io adesso ci credo.
La percezione della fine è dentro ciascuno di noi, è uno stigma della specie, un marchio della sua caducità.
Il fine giustifica i mezzi? È possibile. Ma chi giustificherà il fine? A questa domanda che il pensiero lascia in sospeso, la rivolta risponde: i mezzi.
Più o meno, noi desideriamo veder la fine di tutto ciò che operiamo e facciamo; siamo impazienti di giungere al termine, e lieti di esservi giunti. Soltanto la fine totale, la fine di tutte le fini, noi ce l'auguriamo, di solito, il più tardi possibile.
Il lieto fine è la nostra fede nazionale.
C'è una fine per tutto e non è detto che sia sempre la morte.
Noi sappiamo che la bontà dei fini non giustifica l'uso dei mezzi cattivi. Ma che dire delle situazioni così frequenti oggi, in cui mezzi buoni danno risultati finali che si rivelano cattivi?
Il fine, che non può essere conseguito se non con mezzi cattivi, non può essere un fine buono.
A cattivo principio cattiva fine.
Un fine autentico può fare a meno di speranze e anche di ogni probabilità di essere raggiunto.