Cedo perché son piccino, ma non domando perdono perché ho ragione.
Non ho paura della morte, ma di morire.
La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi.
I cinici sono tutti moralisti, e spietati per giunta.
Fra gli errori ci sono quelli che puzzano di fogna, e quelli che odorano di bucato.
In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere, perché è più comodo, un padrone da servire.
Noi tutti siamo rassegnati alla morte: è alla vita che non siamo rassegnati.
Quella specie di coraggio ridicolo che si chiama rassegnazione.
Dall'abito della rassegnazione sempre nasce noncuranza, negligenza, indolenza, inattività, e quasi immobilità.
Non c'è pace esente da grida di dolore, non c'è perdono senza sangue sparso sul terreno, non c'è accettazione che non nasca da una perdita.
Da giovane ho desiderato che la bellezza fosse in me e sono stato un infelice. Ora so che è ovunque intorno a me e la accetto.
Chi è più saggio? Colui che accetta tutto o colui che ha deciso di non accettare nulla? La rassegnazione è saggezza?
Questa ripetizione ossessiva di sé stessi, al di là del dato anagrafico, è il vero segno dell'"invecchiamento" italiano: vecchio è chi dispera di cambiare e di cambiarsi, ed è ormai rassegnato a essere fino alla fine ciò che è sempre stato.
Le persone che mi fanno più tristezza sono quelle che una volta sapevano cosa fosse la profondità, ma poi hanno perso o sono diventate insensibili al senso della meraviglia, quelle che hanno sentito le proprie emozioni andarsene via e non gliene è importato niente.
Accade raramente che le cose vadano come le si desiderano, così a volte le accettiamo così come vengono.
Tutte le discipline si influenzano a vicenda. Erroneamente l'uomo dice: Questo è l'unico caso dove lascio perdere. Non è vero. Ogni abbandono influenza il resto. Non pensare in questo modo è ingenuo.