Non ho paura della morte, ma di morire.
Chi di voi vorrà fare il giornalista, si ricordi di scegliere il proprio padrone: il lettore.
I borghesi italiani Non vogliono le regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare quello che gli pare, in nome della loro cosiddetta «efficienza».
Le mie idee sono sempre al vaglio dell'esperienza e l'esperienza mi impone di rivederle continuamente.
La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi.
Sangue non ce ne sarà: l'Italia è allergica al dramma, e per essa nessuno è più disposto ad uccidere e tanto meno a morire.
Oltre all'attesa di quello che accadrà dopo la morte, mi inquietano altri due interrogativi antecedenti e senza risposte: quando e come moriro? E il quando è meno preoccupante del come.
E se Dio avesse inventato la morte per farsi perdonare la vita?
La morte è una battaglia sempre perduta.
La morte è la curva della strada, morire è solo non essere visto.
Ciò che più ci rattrista della morte di un conoscente è il ricordarci che presto o tardi toccherà pure a noi.
Mi disturba la morte, è vero. Credo che sia un errore del padreterno. Non mi ritengo per niente indispensabile, ma immaginare il mondo senza di me: che farete da soli?
La morte non è niente per noi. Ciò che si dissolve non ha più sensibilità, e ciò che non ha sensibilità non è niente per noi.
L'angoscia e il dolore. Il piacere e la morte non sono nient'altro che un processo per esistere.
La morte è come il sonno, ma con questa differenza: se sei morto e qualcuno grida "In piedi, è giorno fatto!", ti riesce difficile trovare le pantofole.
La morte è l'unica bella, pura conclusione di una grande passione.