Serve a qualcosa il paradiso? o la sua perfezione include l'inutilità?
Le parole usate per servire a qualcosa si vendicano.
Una parola è un incantamento, una evocazione allucinatoria, non designa una 'cosa', ma la cosa diventa parola.
Non c'è al mondo oggetto librario più fascinoso, seducente, innamorativo di una Enciclopedia.
Essere ebreo è una condizione umana estrema, terribile e insondabile; una condizione di cui l'occidentale ha paura; e noi sappiamo che si ha paura di ciò che sta dentro di noi, non di ciò che ci è estraneo.
Pertanto le dico: si iscriva a Geologia. Vedrà quante metafore le verranno regalate. Non ricordo più cosa sono gli oligocisti: ma quella, mio caro, è letteratura.
I veri paradisi sono i paradisi che si sono perduti.
Certamente il paradiso è qualcosa di cui tutti abbiamo bisogno, però non dobbiamo immaginarcelo in modo antropomorfico.
Si dice che la creazione del Paradiso fosse la favola di un ignoto amore che a un certo punto sprigionò le ali dalla crosta terrestre, e così, raffreddandosi la terra, comparvero, al di là delle credenze bibliche, i primi voli degli angeli.
In paradiso si entra per favoritismo. Se si entrasse per merito, tu resteresti fuori ed il tuo cane entrerebbe al posto tuo.
Il paradiso è quaggiù, mentre respiriamo e viviamo. Dopo, si diventa un pugno di cenere e tutto è finito.
Il paradiso è sotto i nostri piedi e sopra le nostre teste.
È difficile scrivere un paradiso quando tutte le indicazioni superficiali indicano che si dovrebbe scrivere un'apocalisse. Risulta ovvio trovare abitanti per l'inferno o per il purgatorio.
C'è tanta gente malata ed esausta che, generalmente, il paradiso è concepito come un luogo di riposo.
Non c'è da dubitare del fatto che il paradiso offra soprattutto la compagnia di persone sgradite.