Non sono un giornalista, sono un giornalaio.
Noi italiani abbiamo nella coda il veleno dell'avverbio dubitativo.
La donna più importante che ho incontrato? La politica.
Il talento è amico della violenza e della crudeltà in trasmissione.
E' finita la politica da salotto. Una volta la gente diceva: governo ladro. Adesso dice il nome del ladro, il nome del partito e che cosa ha rubato.
Voglio fare qualcosa per altre persone usando il giornalismo.
I giornali italiani non sono tanto dannosi quanto irrilevanti.
Se le parole sono state inventate per nascondere il pensiero, allora i giornali sono un grande miglioramento di una pessima invenzione.
Leggo avidamente il giornale. È la mia unica fonte di continua finzione letteraria.
Il giornalista deve avere sempre e comunque una religione del dubbio.
Dato che le fondamenta dei nostri governi sono l'opinione del popolo, il primo obiettivo dovrebbe essere di tenere questa opinione nel giusto; e se dipendesse da me decidere se dovessimo avere un governo senza stampa o stampa senza un governo, non esiterei un momento a preferire quest'ultimo.
Quando il presidente del Consiglio dona a un giornalista un orologio Cartier il giornalista lo accetta, il giornalista medesimo tende poi spontaneamente alla bontà.
Quando avevo sedici anni andai a lavorare in un quotidiano di Hong Kong. Era un giornalaccio, ma il suo editore mi insegnò una cosa importante. Il segreto di una grande storia non è chi, o il cosa o il quando, ma il perché.
Un buon giornale è una nazione che parla a se stessa.
Fare a pezzi un giornale quotidiano è l'unico mezzo per liberarsi, d'un colpo, da ladri, assassini, truffatori, apostoli, catastrofi.