Morire. Non fosse che per fregare l'insonnia.
I suicidi sono solo degli impazienti.
Ci vogliono virtù a iosa per fare un vizio.
Riconosco per mio solo ciò che ho scritto con inchiostro simpatico.
Conviene a chi nasce molta oculatezza nella scelta del luogo, dell'anno, dei genitori.
In un mondo d'arrivisti buona regola è non partire.
Morire significa separarti non solo da quello che eri, ma anche da quello che non hai potuto diventare. Quest'ultimo aspetto della morte è il più inquietante.
Guardando un cadavere, la morte mi sembra una partenza. Il cadavere mi dà l'impressione di un vestito smesso. Qualcuno se n'è andato e non ha avuto bisogno di portare con sé quell'unico vestito che indossava.
La morte risolve tutti i problemi: niente uomini, niente problemi.
A me la morte fa una gran paura, si lasciano troppi sorrisi, troppe mani, troppi occhi.
Sapete come vi darei epigrammi a non finire? Basta portarmi via, lontano dal mio amore.
Morire è la condizione stessa dell'esistenza. In ciò mi rifaccio a tutti coloro che hanno detto che è la morte a dar senso alla vita proprio sottraendole tale senso. Essa è il non-senso che dà un senso negando questo senso.
Nessuno è così favorito da non avere accanto a se, al momento della morte, qualcuno che gioisca del triste evento.
Il temere la morte altro non è che parere sapienti senza esserlo, cioè a dire credere di sapere ciò che si ignora; poiché nessuno sa se la morte, che l'uomo teme come se conoscesse già che è il maggiore di tutti i mali, non sia invece per essere il più gran bene.
E così morire è bere dal fiume del silenzio, è scalare la cima del monte, significa stare nudi nel vento e sciogliersi al sole.
Alla fine tutte le cose non devono forse essere inghiottite dalla morte?