La morte è uno stato di perfezione, il solo alla portata di un mortale.
La coscienza è molto più che la spina, è il pugnale nella carne.
Forse la follia è soltanto un dispiacere che abbia smesso di evolversi.
Le notti in cui abbiamo dormito è come se non fossero mai esistite. Restano nella memoria solo quelle in cui non abbiamo chiuso occhio: notte vuol dire notte insonne."
Noi deriviamo la nostra vitalità dal magazzino della pazzia.
La felicità spinge al suicidio quanto l'infelicità, anzi ancora di più perché amorfa, improbabile, esige uno sforzo di adattamento estenuante, mentre l'infelicità offre la sicurezza e il rigore del rito.
Spero di resistere alle mattutine serenate della morte.
Perché la morte è un infinito atto d'amore.
La natura ci destinò per medicina di tutti i mali la morte.
I morti hanno paura dei vivi. Ma i vivi, che non lo sanno, temono i morti.
Noi diciamo la morte per semplificare, ma ce ne sono quasi quante le persone.
La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi.
Qualcuno va incontro alla morte pieno d'ira: solo chi vi si è preparato a lungo, ne accoglie lieto l'arrivo.
Morire per dormire. Nient'altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede la carne! Quest'è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire per dormire. Dormire, forse sognare.
Mi scrive l'amica di Londra: "A giudicare da certi cimiteri ci sarebbe da pensare che noi trattiamo i nostri cari meglio da morti che da vivi.
Bisogna avere almeno una certezza: quella di rimanere padrone della propria morte e di essere in grado di scegliere l'ora e i mezzi.