Ognuno è infelice nella misura in cui crede di esserlo!
Noi siamo l'uno per l'altro un teatro sufficientemente grande.
Se uno vuole arrivare a destinazione, deve seguire una sola strada, non vagare qua e là: questo non è avanzare, ma andare errando.
Siamo tutti sconsiderati e incauti, insicuri, brontoloni, ambiziosi (ma perché cerco di nascondere con parole troppo blande la piaga di tutti?), siamo tutti malvagi. Pertanto qualunque vizio venga rimproverato a un altro, ciascuno se lo ritroverà in seno.
Morire bene significa sfuggire al pericolo di vivere male.
La morte non viene una volta sola: quella che ci porta via è l'ultima morte.
Nessuno è più infelice di un guardone in un campo di nudisti.
La speranza degli infelici rinasce sempre.
Tutta l'infelicità dell'uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo.
Il colmo dell'infelicità è esser felici senza saperlo.
Non v'è infelicità umana la quale non possa crescere. Bensì trovasi un termine a quello medesimo che si chiama felicità.
La via più sicura per evitare una grande infelicità è di ridurre possibilmente le proprie pretese in rapporto ai propri mezzi di qualunque specie.
Il mezzo più sicuro per non essere molto infelici è la rinuncia a pretendere di essere molto felici.
Non c'è niente di più comico dell'infelicità.
Gli infelici valutano costantemente gli altri, criticano continuamente il loro comportamento e spesso su di loro sfogano il proprio personale malessere o fallimento.
L'infelicità rende Dio assente agli occhi degli uomini per un certo tempo, più assente di un morto, più assente della luce in una prigione oscura.