Un romanzo o si scrive o si vive.
Di solito, alle normali operazioni della giustizia non è da rimproverare la fretta.
L'umorismo non ha affatto bisogno d'un fondo etico, può averlo o non averlo: questo dipende dalla personalità, dall'indole dello scrittore.
La vita non si spiega; si vive.
Il piacere che un oggetto ci procura non si trova nell'oggetto per se medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d'immagini care. Nell'oggetto insomma amiamo quel che vi mettiamo di noi.
Perché civile, esser civile, vuol dire proprio questo: dentro, neri come corvi; fuori, bianchi come colombi; in corpo fiele; in bocca miele.
Il romanzo è la favola delle fate di chi non ha immaginazione.
L'unica ragione che abbia un romanzo di esistere è che cerca di rappresentare la vita.
Non c'è niente di più distante dalla vita delle persone che lo scrivere romanzi. Per questo fanno bene al cuore.
I romanzieri, sottoscritto compreso, non capiscono molto di quel che fanno, non sanno perché funziona quando va bene, non sanno perché non funziona quando va male.
Il romanzesco è la verità dentro la bugia.
Chissà se il romanzo non sarà una realtà più perfetta e una vita che Dio crea attraverso noi, e se noi chissà, esistiamo soltanto per creare?
Un romanzo che non scopra un segmento di esistenza finora sconosciuto è immorale. La conoscenza è l'unica moralità del romanzo.
I grandi romanzi sono grandi fiabe.
Vi sono tre regole fondamentali per scrivere un romanzo. Per sfortuna nessuno le conosce.