Sono la personificazione del rischio. Sono solo una giornalista curiosa.
Mai andare contro corrente, si rischia di non arrivare alla meta.
Grazie a Internet, alla tv satellitare e alla loro tenacia, sono le iraniane insieme ai giovani i veri agenti del cambiamento di una società iraniana schizofrenica, in cui convivono, fra tradizione e modernità, ricchezza e ingiustizia, bellezza e tragedia, veli neri e foulard colorati.
La moltitudine dei giornali è la letteratura e la tirannide degl'ignoranti.
Ma una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale come una freccia dall'arco scocca vola veloce di bocca in bocca.
Il giornale è la conserva del giorno.
La stampa non è l'opinione pubblica.
Vengo dalla scuola di giornalismo di Giovanni Minoli in cui essere bravi e preparati è il punto di partenza.
Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e, pertanto, essere molesto.
Il giornale è la vita. Noi viviamo attraverso le vite degli altri. Smettere di fare i giornali equivarrebbe a smettere di vivere.
Saranno i giornali a riprendere nella loro cronaca il grigiore di delitti e punizioni. La spartizione è fatta, che il popolo si spogli dell'antico orgoglio dei suoi crimini.
Una sola frase basterà a descrivere l'uomo moderno: egli fornicava e leggeva i giornali.
Se le parole sono state inventate per nascondere il pensiero, allora i giornali sono un grande miglioramento di una pessima invenzione.