Leggere significa affrontare qualcosa che sta proprio cominciando a esistere.
La vita d'una persona consiste in un insieme d'avvenimenti di cui l'ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l'insieme.
In fondo a ognuno di quegli occhi abitavo io, ossia abitava un altro me, una delle immagini di me.
La lettura d'un classico deve darci qualche sorpresa, in rapporto all'immagine che ne avevamo. Per questo non si raccomanderà mai abbastanza la lettura diretta dei testi originali scansando il più possibile bibliografia critica, commenti, interpretazioni.
L'occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose.
L'aspetto veramente importante della lettura è che favorisce una disinvolta intimità con il processo della scrittura; si mette piede nel paese dello scrittore con tutti i documenti più o meno in ordine.
La lettura è per la mente quel che l'esercizio è per il corpo.
Le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.
Oggi la lettura tende a diventare una specie di orgia, dove ciò che conta è la volgarità dell'immaginazione, la banalità della trama e la mediocrità dello stile.
Il solo modo serio di leggere è rileggere.
Leggere è un'attività successiva a quella di scrivere: più rassegnata, più civile, più intellettuale.
Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che è offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.
È meglio non saper né leggere né scrivere che saper leggere e scrivere, e non esser capaci d'altro.
La lettura ci insegna ad accrescere il valore della vita, valore che non abbiamo saputo apprezzare e della cui grandezza solo grazie al libro ci rendiamo conto.
Gli sciocchi ammirano ogni parola d'un autore famoso, io leggo per me solo, e mi piace soltanto quello che fa per me.