L'ira è il ricordo di un odio nascosto o di un rancore.
Il silenzio praticato con cognizione di causa è padre della preghiera, affrancamento dalla schiavitù, custodia del fuoco, sentinella dei pensieri.
Colui che ha l'amore rende a sé estranea l'ira, ma chi coltiva l'odio raccoglie per sé fatiche inopportune.
Come non è possibile uccidere le fiere senza armi, così neppure è possibile acquisire la mancanza di rancore senza umiltà.
Ero arrabbiato con il mio amico: Io glielo dissi, e la rabbia finì. Ero arrabbiato con il nemico: Non ne parlai, e la rabbia crebbe.
Non ho mai conosciuto uno che non valesse un fico secco e che non fosse irascibile.
Io so che l'odio come l'ira hanno la loro funzione nello sviluppo della società, perché l'odio dà la forza e l'ira sprona al mutamento.
Ira è breve furor.
La mia rabbia è la rabbia dei vecchi molto più forte di quella dei giovani: voglio conoscere me nel rapporto con gli altri, perché un vecchio ha tutti i dati necessari.
Nessuno diventa più forte adirandosi, tranne colui che senz'ira non sarebbe stato forte.
A poco serve l'ira se non è sostenuta da adeguate forze.
L'ira è temuta come il buio dai bimbi e una piuma rossa dalle fiere. Essa non ha in sé alcunché di saldo o di forte, ma impressiona gli animi fatui.
Proprio e naturale della virtù è godere e gioire: adirarsi non è conforme alla sua dignità, non più che essere triste; eppure la tristezza è compagna dell'iracondia, e ogni forma d'ira si risolve in essa, sia dopo il pentimento sia dopo l'insuccesso.