Nessuno si uccide. La morte è destino. Non si può che augurarsela, Ippòloco.
Bisogna osservare bene questo: ai nostri tempi il suicidio è un modo di sparire, viene commesso timidamente, silenziosamente, schiacciatamente. Non è più un agire, è un patire.
Ogni critico è propriamente una donna nell'età critica, astioso e refoulé.
Solo ciò che è trascorso o mutato o scomparso ci rivela il suo volto reale.
Non sarebbero uomini, se non fossero tristi. La loro vita deve pur morire. Tutta la loro ricchezza è la morte, che li costringe industriarsi, a ricordare e prevedere.
Il comportamento perfetto nasce dalla completa indifferenza.
Morire è la condizione stessa dell'esistenza. In ciò mi rifaccio a tutti coloro che hanno detto che è la morte a dar senso alla vita proprio sottraendole tale senso. Essa è il non-senso che dà un senso negando questo senso.
La morte viveva in me e mi abbandonò per andare a vivere in un altro corpo.
Che cosa non mi piace della morte? Forse l'ora.
Nella morte non c'è niente di triste, non più di quanto ce ne sia nello sbocciare di un fiore. La cosa terribile non è la morte, ma le vite che la gente vive o non vive fino alla morte.
Pochi uomini desiderano veramente di morire; ma infiniti vorrebbero non esser mai nati.
Tutte le donne devono lottare con la morte per tenere i loro figli. La morte, essendo senza figli, vuole i nostri.
In confronto alla morte, l'amore è una faticosa faccenda infantile, sebbene gli uomini credano più nell'amore che nella morte.
Non c'è nulla di certo nella vita di un uomo, tranne questo: che egli deve perderla.
Tutte le nostre conoscenze ci aiutano solo a morire di una morte un po' più dolorosa di quella degli animali che nulla sanno.
Non ci si prepara alla morte, ci si separa della vita.