A volte capita a noi come ai libri: ci troviamo nel posto sbagliato.
Quando un libro è uscito è tempo, per l'autore, di rimorsi.
Malessere o non essere? Questo è il problema.
Sperare soltanto nelle certezze; è più sicuro.
Ho sempre preferito le porte d'uscita a quelle d'ingresso.
Il più grande sforzo della teologia è stato sempre quello di scagionare Dio.
La scuola e l'università dovrebbero servire a far capire che nessun libro che parla d'un libro dice di più del libro in questione; invece fanno di tutto per far credere il contrario.
I libri specialmente, che ora per lo più si scrivono in minor tempo che non ne bisogna a leggerli, vedete bene che, siccome costano quel che vagliono, così durano a proporzione di quel che costano.
Per capire la differenza che esiste tra leggere un racconto su internet o su un libro, basta chiudere gli occhi e mettere il palmo della mano, prima sullo schermo e poi sulla pagina del libro. Il contatto con la carta, anche detto "libridine", ci fa capire la differenza.
Mi diletta perdermi nella mente altrui. Quando non vado a passeggio, leggo; sono incapace di star seduto a pensare. I libri pensano per me.
Fare un'opera e, dopo averla fatta, riconoscere che è brutta, è una delle tragedie dell'anima. Soprattutto è grande quando si riconosce che quell'opera è la migliore che si potesse fare.
È un buon libro quello che si apre con aspettativa e si chiude con profitto.
Ogni libro è anche la somma dei malintesi di cui è l'occasione.
I libri migliori sono proprio quelli che dicono quel che già sappiamo.
Se vuoi che qualcuno legga un libro, digli che è sopravvalutato.
Un libro non è soltanto, o non è sempre, un tempio delle idee o un'officina di musica e luce, è anche un luogo oscuro di sfoghi e di rimozioni, dove si combatte un duello senza pietà, con la sola scelta di guarire o morire.