Esercitare liberamente il proprio ingegno, ecco la felicità.
Due sono infatti, le cose che portano gli uomini a preoccuparsi e ad amare: ciò che è proprio e ciò che è caro.
Chiunque può arrabbiarsi, questo è facile; ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, ed al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile.
I malvagi obbediscono per paura; i buoni, per amore.
Siamo quello che facciamo ripetutamente. L'eccellenza non è dunque un atto, ma un'abitudine.
L'amicizia o trova gli uomini simili o tali li rende.
La felicità fondamentale dipende più di qualunque altra cosa da ciò che si può chiamare un cordiale interesse per le persone e le cose.
La felicità non sta nell'assenza dei contrasti, ma nell'armonia dei contrasti. È questa armonia a essere costruttiva.
La felicità è facile, ma imparare a non essere infelici può essere arduo.
La felicità è come una farfalla: se l'insegui non riesci mai a prenderla, ma se ti metti tranquillo può anche posarsi su di te.
La felicità dovrebbe essere l'unica condizione della vita; dove la felicità fallisce, l'esistenza rimane un folle e lamentevole esperimento.
Noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito.
Felicità è scegliersi certi fini, fare certi propositi e lottare per ottenerli e realizzarli, senza lamentarsi o deprimersi se poi non possono essere raggiunti. Si può anche dire che la felicità è avere dei valori e degli ideali e sforzarsi di seguirli.
La felicità è costellata di sventure evitate.
A ogni donna corrisponde un seduttore. La sua felicità sta nell'incontrarlo.
L'uomo più felice è quello che conosce meglio l'arte di rendersi tale senza venir meno ai propri doveri, e il più infelice è quello che ha scelto un modo di vivere che lo costringe a fare ogni giorno, dal mattino alla sera, malinconiche riflessioni sull'avvenire.