La scuola della povertà è la nulrice dei grandi animi.
Iddio nella nostra faccia ha stampato l'immagine del nostro spirito, e dello sguardo ne ha fatto --- è vecchio dettato --- lo specchio dell'anima.
Dio ci volle nascosta l'anima al riparo dal nostro indiscreto sguardo degli occhi: ma pure non ha voluto che di tutto ci dovessimo l'uno all'altro affidar ciecamente con troppo pericolo di inganni, tradimenti e sciagure.
Era così povera che quando si mangiava le unghie apparecchiava la tavola. Spesso prendeva qualcosa di caldo: la febbre.
Se vuoi salire fino al cielo, devi scendere fino a chi soffre e dare la mano al povero.
Povero non è chi ha poco, ma chi vuole di più.
La povertà non porta infelicità, porta decadimento.
Così facilmente s'acquisterebbe il vivere, se il desio di accumulare denari non impoverisse gli altri.
Non c'è protezione migliore dai ladri che la povertà.
Per arricchire Dio, l'uomo deve impoverirsi; affinché Dio sia tutto, l'uomo deve essere nulla.
Per farsi un amico ci vuole quasi una vita. Bisogna essere stati poveri insieme e qualche volta felici.
C'è una povertà in questo tipo di vita, una povertà diversa da quella materiale di una volta. Una povertà interiore che, più che far paura, umilia. Umilia la grande ricchezza, la grande potenzialità che c'è in ognuno di noi.
Un povero ci vuol poco a farlo comparir birbone.