L'amore è l'infinito abbassato al livello dei barboncini, e ci ho la mia dignità, io!
— Louis-Ferdinand Céline
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La nostra interpretazione
L’immagine dell’infinito che si abbassa al livello di qualcosa di piccolo e quasi ridicolo suggerisce una profonda delusione nei confronti del sentimento amoroso. L’amore, idealmente percepito come qualcosa di sconfinato, sublime e assoluto, viene descritto come degradato, svilito, ridotto a una caricatura di sé stesso. Il contrasto tra la grandezza dell’infinito e la banalità di ciò a cui viene accostato mette in luce la distanza tra l’ideale romantico e la realtà delle relazioni umane, spesso fatte di compromessi, meschinità e fragilità.
In questa prospettiva, emerge una voce che rivendica la propria dignità, come se rifiutasse di sottomettersi a una forma di amore percepita come umiliante o ridicola. L’io che parla non nega l’esistenza dell’amore, ma ne rifiuta la versione distorta, convenzionale, forse borghese, che lo trasforma in qualcosa di domestico e addomesticato. C’è una specie di ribellione interiore contro un sentimento che, invece di elevare, sembra trascinare verso il basso.
Da questa tensione nasce un senso di amarezza: l’esperienza affettiva non è luogo di espansione spirituale, ma scena di riduzione, di perdita di grandezza. L’individuo che parla si sente troppo consapevole, troppo lucido per abbandonarsi a un tale gioco; preferisce preservare un nucleo di fierezza personale, anche a costo di rinunciare a quella forma di amore. Il risultato è un misto di cinismo e vulnerabilità: dietro il rifiuto si intravede la ferita di chi avrebbe voluto credere in un sentimento più alto, ma si è scontrato con la sua versione più meschina e grottesca.
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