La felicità più che altro è un desiderio, è un'utopia.
La morte è l'assoluto, è un mistero. Non bisogna averne paura, perché già il non sapere cosa succede dopo di lei è eccitante.
La vecchiaia è più corporea della giovinezza, ti costringe a fare i conti con il tuo corpo, che reclama le sue esigenze. Quando sei giovane non ti accorgi di averlo, ti obbedisce. Ma poi arriva il momento che ti dice "no, questo non lo puoi fare perché sei vecchio".
La felicità è vivere e io sono per la vita.
Noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito.
Dicono che la felicità dell'uomo non può consistere fuorchè nella verità. Così parrebbe, perchè qual felicità in una cosa che sia falsa? E come, se il mondo è diretto alla felicità, il vero non deve render felice? Eppure io dico che la felicità consiste nell'ignoranza del vero.
La felicità son tutti quegli incontri, brevi o meno, che ti danno un'emozione. E' tutto questo che fa la vita.
Alcuni temono che la felicità sia un bene molto lontano, quasi irraggiungibile, motivo per cui corrono a più non posso nella speranza di avvicinarla, senza mai rendersi conto che più corrono e più se ne allontanano.
La felicità non è fatta per i mortali. Chi può dirlo? Nessuno l'ha vista.
Le più felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa, soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
La felicità è benefica per il corpo, ma è il dolore che sviluppa i poteri della mente.
La felicità è quello stato di consapevolezza che deriva dalla realizzazione dei propri valori.
Se la felicità fosse nei piaceri del corpo, diremmo felici i buoi, quando trovano veccie da mangiare.
È con le occasioni mancate che a poco a poco noi ci costituiamo un patrimonio di felicità. Quando il desiderio è soddisfatto, non resta che morire.