Tutti gli uomini per necessità nascono e vivono infelici.
Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire.
Tutti hanno provato il piacere o lo proveranno, ma niuno lo prova. Tutti hanno goduto o godranno, ma niuno gode.
Non è egli un paradosso che la religione cristiana in gran parte sia stata la fonte dell'ateismo, o, generalmente parlando, dell'incredulità religiosa? Eppure io così la penso.
La prosa per esser veramente bella (conforme era quella degli antichi) e conservare quella morbidezza e pastosità composta anche fra le altre cose di nobiltà e dignità, che comparisce in tutte le prose antiche e in quasi nessuna moderna, bisogna che abbia sempre qualche cosa del poetico.
È certo che lo stato naturale è il riposo e la quiete, e che l'uomo anche più ardente, più bisognoso di energia, tende alla calma e all'inazione continuamente in quasi tutte le sue operazioni.
L'uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi.
Nessuno può vantarsi o sdegnarsi con verità dicendo: io non posso essere più infelice di quel che sono.
Quelli che sono infelici non hanno bisogno di niente a questo mondo, eccetto di persone capaci di concedere loro la propria attenzione.
Dicono che la felicità si trova nelle piccole cose. Sapeste l'infelicità.
È meglio essere infelicemente innamorati che essere infelicemente sposati. Alcuni fortunati riescono in tutte e due le faccende.
L'infelicità degli uomini viene da una sola cosa, non sapersene stare in pace in una camera.
Gli infelici valutano costantemente gli altri, criticano continuamente il loro comportamento e spesso su di loro sfogano il proprio personale malessere o fallimento.
Ben difficilmente si vede un uomo infelice per non essere riuscito a scorgere ciò che avviene nell'anima altrui; ma colui che non avverte i moti della propria anima, è inevitabile che sia infelice.
Niuno stato è così misero, il quale non possa peggiorare; e nessun mortale, per infelicissimo che sia, può consolarsi né vantarsi, dicendo essere in tanta infelicità, che ella non comporti accrescimento.
Veramente infelice è chi non sa sopportare l'infelicità.