Lo schiavo è quello che aspetta qualcuno a liberarlo.
Tra tutte le definizioni della bellezza che ho trovato in varie opere di filosofia, arte, estetica ecc. ricordo con piacere quella più semplice: troviamo una cosa bella in proporzione alla sua idoneità ad una funzione.
Il pensiero s'impernia sulla definizione delle parole.
Più di una volta ho dovuto scartare il lavoro di un intero anno: ecco che cosa è l'arte e perché è così dannatamente rara.
La tradizione è una bellezza da conservare, non un mazzo di catene per legarci.
C'è chi crede di essere un grande scrittore perché tutti lo leggono e c'è chi crede di essere un grande scrittore perché non lo legge nessuno.
Rifiutando il concetto di schiavitù umana si arriva, per onestà intellettuale, ad ammettere anche l'ingiustizia della schiavitù nei riguardi degli animali.
Ogni schiavo reca nella sua mano il potere di sopprimere la sua cattività.
Dello schiavo, che è uno strumento vivente, bisogna aver cura nella misura in cui è buono al lavoro.
Lo schiavo inizia col chiedere giustizia e finisce col volere portare una corona. A sua volta, deve dominare.
Non è una vergogna essere schiavi: è una vergogna avere schiavi.
Re e preti, nel condannare la dottrina del suicidio, hanno voluto assicurare la durata della nostra schiavitù. Intendono tenerci chiusi in una cella senza uscita, come quello scellerato della Commedia di Dante che fa murare la porta della prigione dove era rinchiuso lo sventurato Ugolino.
La vera schiavitù è la condanna all'astensione.
Togliere le catene agli schiavi è facile, ma liberarli è difficile.
Un essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo: e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà.