La musica è il solo passaggio che unisca l'astratto al concreto.
Noi non moriamo perché dobbiamo morire; moriamo perché un giorno, e non così tanto tempo fa, la nostra consapevolezza è stata forzata a considerarlo necessario.
Una società tarata ha inventato la psichiatria per difendersi dalle investigazioni di certe lucide menti superiori, le cui facoltà divinatorie la infastidivano.
Tutta la scrittura è cochonnerie.
Tutta l'umanità vuole vivere, ma non vuole pagarne il prezzo e il prezzo è quello della morte.
Ed è così che Isidore Ducasse è morto di rabbia, per aver voluto, come Edgar Poe, Nietzsche, Baudelaire e Gérard de Nerval, conservare la propria individualità intrinseca, invece di diventare, come Victor Hugo, Lamartine, Musset, Blaise Pascal, o Chateaubriand, l'imbuto del pensiero di tutti.
La musica che amo mi ricorda un piatto pugliese, riso patate e cozze. Credo nella commistione di generi che non dovrebbero sposarsi, e invece stanno bene insieme: ska, rock, pop, jazz, rap.
È l'ascoltatore che deve piangere, non la musica.
Sarebbe ora che il pianoforte capisse che la musica non è stata scritta da lui.
Dove le parole falliscono, parla la musica.
Io vedo la musica come fluida architettura.
Il reggae diventerà una forma di lotta, se non è già accaduto. È la musica del Terzo Mondo. Non devi cercare di capirla in un solo giorno ma prenderla un po' per volta e lasciare che cresca dentro di te.
Dopo aver ascoltato per una mezzora una ragazza suonare il pianoforte, niente mi rilassa di più che farmi trapanare qualche dente dal mio dentista.
Oggi si può scrivere musica col computer, ma nella testa dei musicisti il computer è sempre esistito: essi potevano addirittura scrivere una sonata senza una sola idea originale, limitandosi a sviluppare "ciberneticamente" le regole della composizione.
Noi italiani abbiamo dimenticato che la musica non è solo intrattenimento, ma è una necessità dello spirito. Questo è grave perché significa spezzare delle radici importanti della nostra storia.