La montagna più alta rimane sempre dentro di noi.
La montagna se praticata in un certo modo è una scuola indubbiamente dura, a volte anche crudele, però sincera come non accade sempre nel quotidiano.
Il sacrificio è il filtro fondamentale della vita.
Non esiste, come qualcuno teorizza, la scalata moderna, antica o futura. Esiste soltanto la scalata, e come tale non è che un mezzo convenientemente adattato alla propria etica per raggiungere le proprie aspirazioni.
La rappresentazione del tramonto, ossia quella specie di miracolosa irrealtà che il morire del giorno sa creare, e che, se il tempo non muta, si ripeterà il mattino seguente con il sorgere del sole.
Dalla vetta non si va in nessun posto, si può solo scendere.
Siamo giunti al quarantesimo anniversario della conquista del K2, e il CAI, finalmente, annuncia la tanto attesa revisione storica dell'assalto finale alla grande montagna.
Anche l'aver scalato l'Everest diventa banale e quindi noioso. Una montagna è stimolante solo prima che venga affrontata.
Mentre il mio spirito se ne va in macchina lungo il mare su strade sterrate rognose più tossiche di un sigaro scadente e mentre continuo ad andare solo e spensierato le case dei ricchi su in alto sembrano folli, annebbiate e atterrite sulle cime delle piatte montagne.
Era un metodo a casaccio, ma il mondo era stato costruito a casaccio e la bellezza delle montagne, dei fiumi e dei tramonti può essere soltanto la vernice con cui l'artefice inesperto nasconde le giunture.
Che ci faccio in montagna? Più ci vado e più mi accorgo di essere scarso. L'aumento di esperienza mi denuncia meglio i difetti. Conoscere non m'incoraggia, anzi mi pesa. L'esperienza accresciuta misura la mia insufficienza.
La vita solitaria della montagna coi suoi silenzi majestatici e il breve cerchio delle amicizie al paese gli conferiscono questo fortunato istinto di vigilante temperanza, che è segno preciso di compiutezza e di sufficienza spirituale.
Quassù l'ispirazione entra nel naso e la mucosa fiuta la storia dell'aria, i suoi viaggi.
Da per tutto, come una corrente viva, un fiume della montagna, scendeva l'aria nuova, l'ossigeno esalava dalle piante verdi. Lo potevi vedere fremere in un'alta marea di cristallo. L'ossigeno puro, vergine, verde, freddo ossigeno, trasformava la valle in un delta di fiume.
Tra venti monti innevati, l'unica cosa immobile era l'occhio del merlo.