Qualsiasi viaggio verso l'ignoto è già di per sé un'avventura.
Se ti trovi nei guai, niente di meglio che avere accanto un amico sincero.
Viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un'altra.
Lo scopo non è il viaggiare di per se stesso, ma il trovarsi in un dato luogo il più presto possibile.
I viaggi sono legati al superamento delle frontiere, ma che per frontiere si devono intendere anche le frontiere della mente.
La cosa più bella di Tokio è McDonald's. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald's. La cosa più bella di Firenze è McDonald's. Pechino e Mosca non hanno ancora nulla di bello.
Io resto qui e certo ci resterò. È così dolce restare. Forse che la natura va all'estero?
Il viaggiare moderno toglie al viaggiatore esattamente quanto basta del suo senso di identità da generare il bisogno di acquistare decalcomanie e souvenir cianfrusaglia che rafforzano il suo senso parzialmente eroso di unicità personale.
Questa sì che era vita: girare, fermarsi e poi proseguire, sempre seguendo il nastro bianco che si snodava lungo la costa sinuosa, liberandosi di ogni tensione, una sigaretta dopo l'altra, e cercando invano delle risposte nell'enigmatico cielo del deserto.
E poi, il treno, nel viaggiare, sempre ci fa sognare.
Perché chi si ferma ha più vita, ma chi va ha più strade.
Viaggiare significa aggiungere vita alla vita.