Il prezzo del progresso della civiltà si paga con la riduzione della felicità.
Nel lutto il mondo si è impoverito e svuotato, nella melanconia impoverito e svuotato è l'Io stesso.
Si ricorre al motto tendenzioso con speciale predilezione per poter aggredire e criticare persone altolocate che pretendono di esercitare un'autorità. In questi casi il motto è una ribellione contro questa autorità, una liberazione dall'oppressione che essa esercita.
La fede nella "bontà" dell'umana natura è una di quelle tristi illusioni da cui gli uomini si aspettano che la loro vita risulti abbellita e alleviata, mentre in realtà non provocano che danni.
Anche se l'uomo ha rimosso nell'inconscio i suoi impulsi malvagi e vorrebbe dirsi che non è responsabile di essi, qualcosa lo costringe ad avvertire questa responsabilità come un senso di colpa il cui motivo gli è sconosciuto.
L'etiologia comune che determina lo scoppio di una psiconevrosi o di una psicosi rimane sempre la frustrazione, il mancato appagamento di uno di quegli invincibili desideri infantili che nella nostra organizzazione, filogeneticamente determinata, hanno radici così profonde.
Il grado di civiltà di una nazione è misurato dal suo disprezzo per le necessità dell'esistenza.
Scopo della civiltà, non è il progresso della scienza e delle macchine, ma dell'uomo.
Con il progredire della civiltà l'uomo si fa sempre più debole.
Accettare la civiltà quale essa è significa praticamente accettare la decadenza.
Esser civile, vuol dire proprio questo: dentro, neri come corvi; fuori, bianchi come colombi; in corpo fiele; in bocca miele.
La civiltà ci ha sottratti alle spade, per farci meglio sentire la paura dei chirurghi.
La civiltà è una terribile pianta che non vegeta e non fiorisce se non è innaffiata di lacrime e di sangue.
La civiltà di una nazione dovrebbe essere misurata in base alla deferenza verso il sesso debole.
Il numero degli uomini che accettano la civiltà da ipocriti è infinitamente superiore a quello degli uomini veramente civili.