La fede che non dubita non è fede.
Sono stati sempre poeti, uomini innamorati della gloria, a cantarne la vanità.
Prendere un'abitudine è cominciare a cessare di essere.
Colui che vive lottando contro la stessa vita agonizza.
L'uomo, per il semplice fatto di essere uomo, di aver coscienza di sé, è, in confronto all'asino o al granchio, un animale malato. La coscienza è malattia.
L'unico modo di dare determinazione al mondo è quello di dargli la consapevolezza.
La fede è realtà di cose sperate, e convincimento di cose che non si vedono.
La fede è un affidarsi a Dio che vince l'angoscia: non è un bagaglio di nozioni che esige un faticoso indottrinamento, è il bene più grande e liberante per l'uomo.
Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!
Fede e storia non si escludono, ma si integrano e si spiegano a vicenda.
Speranza, di fatto, è una parola centrale della fede biblica - al punto che in diversi passi le parole fede e speranza sembrano interscambiabili.
A promuovere la fede nel soprannaturale è di solito quella mancanza di senso che ciascuno di noi non fatica a toccare ogni giorno con mano su questa terra.
Ma la mia religione sono io: ogni essere umano è diverso dall'altro, perché dobbiamo avere la stessa religione? Io non ho bisogno di credere in un Dio. Fin da piccino, ho imparato a credere in me. È l'insegnamento dei genitori: al limite, Dio è mio padre.
La fede è il ponte senza pilastri che porta ciò che vediamo verso la scena invisibile, troppo tenue per l'occhio.
Si può osservare che nelle discussioni politiche, religiose o d'altra natura la gente non vuole affatto conoscere la realtà delle cose, ma solo essere confermata nei suoi pregiudizi: è di una fede, non della verità, che ha bisogno.
Generalmente, gli uomini prestano fede volentieri a ciò che desiderano.