Obliato nel suo paese, sconosciuto altrove. Tale è il destino del viaggiatore.
Diversivo, distrazione, fantasia, cambiamenti di moda, di cibo, amore e paesaggio. Ne abbiamo bisogno come dell'aria che respiriamo.
Qualunque cosa si faccia e ovunque si vada, dei muri ci si levano intorno creati da noi, dapprima riparo e subito prigione.
Non viaggio mai in aereo. Il viaggio verso l'aeroporto mi fa venire il mal d'auto.
Parli di camminare nel deserto, ma cosa è il mondo se non altro che questo, e tuttavia, anche se non stiamo camminando in un deserto vero e proprio, prima o poi accadrà che lo renderemo tale.
La carta geografica, insomma, anche se statica, presuppone un'idea narrativa, è concepita in funzione d'un itinerario, è un'Odissea.
Non c'è ritorno, pensavo, questo viaggio manca di simmetria, è solo andata.
L'inverno passa e i venti caldi di Maggio mi fanno desiderare di vagabondare nuovamente. Il sibilo di una locomotiva in una notte calma ha un richiamo, inesplicabile, eppure forte, come la luce che porta una falena alla distruzione.
Forse farò un favore al lettore dicendogli come dovrà trascorrere una settimana a Perugia. La sua prima cura sarà di non aver fretta, di camminare dappertutto molto lentamente e senza meta e di osservare tutto quello che i suoi occhi incontreranno.
Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. La gran cosa è muoversi, sentire più acutamente il prurito della nostra vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo.
Partire è la più bella e coraggiosa di tutte le azioni. Una gioia egoistica forse, ma una gioia, per colui che sa dare valore alla libertà. Essere soli, senza bisogni, sconosciuti, stranieri e tuttavia sentirsi a casa ovunque, e partire alla conquista del mondo.