Talvolta si prende come cattiva abitudine l'essere infelici.
Nessun complimento può essere eloquente, eccetto che come espressione d'indifferenza.
Il fallimento dopo un lungo perseverare è molto più splendido che non aver mai fatto uno sforzo degno di essere chiamato un fallimento.
Ciò che chiamiamo disperazione spesso non è altro che la dolorosa avidità d'una speranza non esaudita.
Ci sono molte vittorie peggiori di una sconfitta.
Ma ciò che chiamiamo disperazione è in realtà la dolorosa impazienza della speranza non alimentata.
Il segreto per essere infelice è avere abbastanza tempo per preoccuparsi se si è felici o no.
Essere sempre infelici, ma non troppo, è condizione sine qua non di piccole e intermittenti felicità.
La via più sicura per evitare una grande infelicità è di ridurre possibilmente le proprie pretese in rapporto ai propri mezzi di qualunque specie.
Nessuno può farti sentire infelice se tu non glielo consenti.
I momenti dell'infelicità sono momenti chiave della vita, gli unici momenti in cui si impara davvero qualcosa.
La speranza degli infelici rinasce sempre.
Meglio essere infelici sui cuscini di una Rolls Royce che sulle panchette di un tram.
Quelli che sono infelici non hanno bisogno di niente a questo mondo, eccetto di persone capaci di concedere loro la propria attenzione.
Dal non poter assodare cosa avvenga nell'anima di un altro, non è facile che provenga infelicità: infelicità grande invece necessariamente deriva a chi non tiene dietro ai moti dell'anima propria.
Niuno stato è così misero, il quale non possa peggiorare; e nessun mortale, per infelicissimo che sia, può consolarsi né vantarsi, dicendo essere in tanta infelicità, che ella non comporti accrescimento.