L'uomo è nato per vivere, non per prepararsi a vivere.
L'appartenenza a un tipo è la morte dell'uomo.
Si vive per anni accanto a un essere umano, senza vederlo. Un giorno ecco che uno alza gli occhi e lo vede. In un attimo, non si sa il perché, non si sa come, qualcosa si rompe una diga fra due acque. E due sorti si mescolano, si confondono, e precipitano.
Vivere significa sempre lanciarsi in avanti, verso qualcosa di superiore, verso la perfezione, lanciarsi e cercare di arrivarci.
La filosofia dev'essere non più che un condimento all'arte della vita. Dedicarsi soltanto alla filosofia non è meno strano del mangiare sempre e solo rafano.
La vita senza una meta, è un vagabondaggio.
È stato scritto che «la vita è un grande pensiero fissato in giovinezza e tradotto in pratica».
La nostra visione dell'universo è solo il risultato di un incubo di quel cattivo sonno che è la vita.
Non ci può essere gioia nella vita senza la gioia del lavoro.
Credo che chi è ossessionato dalla morte abbia di conseguenza lo stesso atteggiamento anche per la vita.
La vita la si può fissare solo sui cuori e sulle pietre; il resto se ne va come le lunghe file di tronchi alla deriva sulle acque invernali.
Può sembrare strano che la vita sia un puro incidente, ma in un universo tanto grande è inevitabile che accadano degli incidenti.
La vita psichica dell'uomo ricorda per il suo sviluppo e per la sua struttura, la struttura della corteccia terrestre; essa cioè è formata di strati sovrapposti l'uno sull'altro.
Il genere umano è strano; teme la vita, ma ancora di più la morte. È strano temere la morte, dato che la vita è sofferenza, e quando la morte arriva la sofferenza cessa.
La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia.