O si pensa o si crede.
Nessuno si è mai sentito felice nel presente a meno che non fosse ubriaco.
Nel nostro continente monogamico, sposare significa dividere a metà i propri diritti e raddoppiare i doveri.
Con certe persone vale più essere traditi che diffidare.
Come la carta moneta al posto dell'argento, così hanno corso nel mondo, al posto della vera stima e della vera amicizia, le dimostrazioni esteriori di esse e i gesti mimati con la massima naturalezza possibile.
Si può anche considerare la socievolezza come un reciproco riscaldarsi spirituale degli uomini, simile a quello corporeo provocato dalla calca, quando il freddo è grande. Chi però ha in se stesso molto calore spirituale, non ha bisogno di questi aggruppamenti.
Il genere umano, che ha creduto e crederà tante scempiataggini, non crederà mai né di non saper nulla, né di non essere nulla, né di non aver nulla a sperare.
Chi crede non vuole pensare, ma spostare montagne, diventare beato, avere molto: Dio, immortalità, felicità eterna. Forse è per questo che non vuole pensare? Forse non ne è affatto capace? In ogni caso non deve. Spesso non ne ha bisogno, perché altri se ne incaricano per lui.
Credere in Dio è più logico e scientifico che credere nel nulla.
Dovete credere in qualcosa: l'istinto, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo approccio non mi ha mai tradito, e ha fatto la differenza nella mia vita.
Per credere è d'uopo voler credere.
Io credo in Dio. Il problema è che credo a tutti.
Accettare una credenza semplicemente perché essa è costume, significa: essere disonesti, essere vili, essere pigri. E così disonestà, viltà e pigrizia sarebbero i presupposti dell'eticità?
Si rischia tanto a credere troppo quanto a credere troppo poco.
Non credere a nulla, non importa dove l'hai letta o chi l'ha detto, neppure se l'ho detto io, a meno che non sia affine alla tua ragione e al tuo buon senso.
Posso credere a tutto, purché sia sufficientemente incredibile.