Ormai in dio non crede più nessuno, neppure i credenti.
Nel giudicare un qualsiasi comportamento noi giudichiamo anche un modo di essere, di cui quello è manifestazione, ma di cui nessuno ha effettivamente responsabilità.
Un dio al quale piacerebbe essere adorato, e che persino lo esigesse, sarebbe un dio alquanto vanitoso, oltre che spregevole.
Può venir meno persino l'amore per sé stessi, non mai l'egoismo, e anche quello a causa di questo.
Non esiste un dare che non sia nello stesso tempo un ricevere.
Non si confonda la vanità, che è bisogno e ricerca della stima altrui, con la fierezza, semplice manifestazione della propria autostima.
Il credente non si lascerebbe strappare la sua fede né tramite argomentazioni né tramite proibizioni. E se anche la cosa riuscisse nel caso di qualcuno, sarebbe una crudeltà. Chi per decenni ha preso sonniferi, naturalmente non può dormire se ne viene privato.
Credere in un Dio vuol dire comprendere la questione del senso della vita. Credere in un Dio vuol dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto. Credere in Dio vuol dire vedere che la vita ha un senso.
Il credente è uno che manca di fede in sé stesso.
È risaputo che alcuni credenti di strettissima osservanza hanno dubitato di Dio perché li aveva colpiti una grande sventura, magari per quanto provocata da loro stessi; però non si è mai visto nessuno che abbia perso la fede per aver ottenuto una felicità immeritata.
Basta un mal di denti per non farci credere nella bontà del creatore.