In teatro bisogna lavorare sodo per costruire un personaggio.
La vita è tragicomica, c'è humor.
Non voglio che il mio teatro sia "civile" per differenziarlo da quest'altro teatro di "morti": io faccio teatro e basta.
Al college ho lasciato medicina per fare teatro, poi mi sono trasferito a San Francisco e ci ho vissuto per cinque anni.
A due anni mi portarono in scena dentro uno scatolone legata proprio come una bambola perché non scivolassi fuori. E così il mio destino fu segnato. Da "Pupatella" attraverso la poupée francese, divenni per tutti "Pupella" nel teatro e nella vita.
Come attore non ho preso molto da mio padre, perché sono piuttosto diverso da lui caratterialmente. Credo di aver preso da lui il rigore, una serietà professionale al limite della malattia mentale, che però mi è utile, soprattutto in teatro.
Mi sento più vivo in un teatro che in qualunque altro posto, ma quello che faccio in teatro l'ho preso dalla strada.
Shakespeare non aveva dovuto svolgere a scuola dei temi in favore della virtù e contro il vizio. Dobbiamo a questa circostanza il tono sano e non affettato del suo teatro.
Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita.
Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.
Se uno spettacolo non va bene sto male, sto proprio male. Io voglio solo che vada tutto bene, che le persone ridano, che si divertano, che escano contente e quando vedono gli amici dicano 'oh, guarda quello è troppo forte!'. Questo è il successo, questo è il teatro.
Il teatro è un tempio, un tempio dove non entra mai il sole. Si lavora sempre con poca luce, nel silenzio più assoluto; il testo va rispettato nelle sue virgole, va approfondito, perché tutto è nella parola.