Molti libri riassumono una frase.
La lingua batte dove la mente duole.
Il talento è un furto di natura.
Gli aforismi sono il monoteismo degli esuli.
Alcuni resistono aggrappati all'orlo dell'immaginazione.
Le colpe sanno molte cose, ma il vizio ne sa una grande.
Molti libri non richiedono di riflettere a chi li legge, e per una ragione molto semplice: essi non fecero tale richiesta a coloro chi li scrissero.
Si possono ignorare moltissimi libri, senz'essere, per questo, un ignorante.
Bisognerebbe leggere, credo, soltanto i libri che mordono e pungono. Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo?
I libri non servono per sapere ma per pensare, e pensare significa sottrarsi all'adesione acritica per aprirsi alla domanda, significa interrogare le cose al di là del loro significato abituale reso stabile dalla pigrizia dell'abitudine.
Il bene di un libro sta nell'essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto.
Si scrive soltanto una metà del libro, dell'altra metà si deve occupare il lettore.
Un libro fatto è un istante passato, un gradino che ci ha servito per portarci più in alto.
Sono i libri che un uomo legge, quelli che lo accusano maggiormente.
Un monaco dovrebbe certo amare i suoi libri con umiltà, volendo il ben loro e non la gloria della propria curiosità: me quello che per i laici è la tentazione dell'adulterio e per gli ecclesiastici regolari è la brama di richezze, questa per i monaci è la seduzione della conoscenza.
Per capire la differenza che esiste tra leggere un racconto su internet o su un libro, basta chiudere gli occhi e mettere il palmo della mano, prima sullo schermo e poi sulla pagina del libro. Il contatto con la carta, anche detto "libridine", ci fa capire la differenza.