L'invidia si annida in fondo al cuore umano come una vipera nella sua tana.
Essa è un maschio, è artista, è grande, generosa, devota, casta; ha l'aspetto maschile: ergo, non è donna.
Il rispetto è una barriera che protegge egualmente il grande e il piccolo, ciascuno dal suo lato può guardarsi in faccia.
Lo schiavo ha la propria vanità, non vuole obbedire che al più grande dei despoti.
Quel che rende indissolubile le amicizie e ne raddoppia l'incanto è un sentimento che manca all'amore: la sicurezza.
Se la luce è il primo amore della vita, l'amore non è forse la luce del cuore?
Benedetto colui che ha imparato ad ammirare, ma non invidiare, a seguire ma non imitare, a lodare ma non lusingare, a condurre ma non manipolare.
L'invidia apriva loro gli occhi: è un demone che non si lascia sfuggire nulla, e che trae conclusioni da ogni cosa, proprio come la gelosia.
L'invidia del cretino per l'uomo brillante trova sempre qualche consolazione nell'idea che l'uomo brillante farà una brutta fine.
L'esaltazione degli antichi scrittori procede non dalla reverenza per i morti, ma dallo spirito di rivalità e dalla reciproca invidia dei vivi.
L'invidia non tocca solamente i cattivi, ma anche i buoni e nelle cose buone... È una tristezza, una malinconia, è come una malattia del cuore.
Una modalità di difesa frequente è quella di stimolare l'invidia negli altri con il proprio successo, con la ricchezza e la fortuna, rovesciando così la situazione di chi sperimenta l'invidia.
Congratularsi vuol dire esprimere con garbo la propria invidia.
La morte acquieta l'invidia completamente, la vecchiaia lo fa per metà.
L'effetto dell'invidia non è un desiderio di possedere quella cosa, quanto piuttosto che gli altri non la possiedano.
L'invidia è il più stupido dei vizi, perché non esiste un solo vantaggio che si guadagni da esso.