È impossibile parlare del razzismo di oggi se non si ricorda il razzismo di ieri.
Fin dagli inizi l'auto-proclamazione della comunità dei liberi avverte a bisogno di far ricorso a miti genealogici che diano un fondamento a questo gesto di distinzione.
È facile cantare in tempi felici. Ma è duro farlo di fronte agli insulti, alle paure, alla minaccia della violenza, in mezzo all'odio o al silenzio dell'inazione: gli inni dei diritti civili aiutarono la causa di un popolo.
Quando la proverbiale mancanza di elasticità del burocrate si combina con la meschinità del razzismo il risultato può fare vacillare la mente.
Lo Stato non rappresenta un fine ma un mezzo. Esso è la premessa della formazione d'una superiore civiltà umana, ma non è la causa di questa. La causa è riposta solo nella presenza d'una razza idonea alla civiltà.
Finché il colore della pelle di un uomo sarà più importante di quello dei suoi occhi sarà sempre guerra.
Un mondo imbastardito e "negrizzato" sarebbero perduti per sempre i concetti dell'umanamente bello e del sublime, nonché ogni nozione d'un avvenire idealizzato del genere umano.
Il razzismo è un modo di delegare ad altri il disgusto che abbiamo di noi stessi.
A: Mamma, cos'è il razzismo? B: Mangia, o chiamo l'uomo nero.
La purezza della razza non esiste. L'Europa è un continente di razze miste.
Tutto è razza e non c'è altra verità.