Io sono convinta che la scrittura non serva per farsi vedere ma per vedere.
I nonni sono considerati così accessori da non richiedere un termine che ne specifichi la perdita. Dei nonni non si è né orfani né vedovi. Per moto naturale si lasciano lungo la strada così come per distrazione, lungo la strada, si abbandonano gli ombrelli.
La fede non è passività. Apre alla vita. È lucidità, stupore, camminare e partecipare alla comprensione della vita.
Se la vita è un percorso, è un percorso che si svolge in salita.
Il cammino d'un uomo è comprensione dell'amore. Una cosa fragilissima, altro che mettersi sotto un ombrello.
È la misteriosa e gratuita dinamica dell'incontro a permetterci di andare avanti.
Scrivere è piangere con l'inchiostro, sporcare carta e le idee degli altri. Scrivere è vomitare in pubblico e ridere una pazzia frenata.
Bisogna prendere speciali precauzioni contro la malattia dello scrivere, perché è un male pericoloso e contagioso.
Il bello è che scrivere è un altro modo di cagare e masturbarsi.
Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.
La scrittura è l'ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità.
Scrivere è continuare, inseguire al di là della tenebra quel fanalino fuggente che è l'uomo.
Cogito ergo sum, ergo scrivo, ergo mi autopubblico, ergo mi autoleggo e chi s'è visto s'è visto. Stringi stringi: che bisogno c'è dell'editore? Mi pubblico io. Che bisogno c'è del lettore? Mi leggo io.
Bisogna interrompere di tanto in tanto il flusso della scrittura. Per evitare che dal rubinetto scorra sempre la medesima acqua.
La scrittura e le cose non si somigliano. Tra esse, Don Chisciotte vaga all'avventura.
Io sono vivo, ma non vivo perché respiro, mi sento vivo solo se sfilo la stilo e scrivo.