Lasciarsi male è spesso l'unico modo.
— Franco La Cecla
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La nostra interpretazione
Quando una relazione arriva al capolinea, spesso non si spegne in modo dolce, ordinato e reciproco. La rottura porta in superficie tutto ciò che era rimasto taciuto: rancori, incomprensioni, paure, aspettative disattese. In quel momento conclusivo, le persone non riescono quasi mai a essere all’altezza dell’immagine che avevano di sé come esseri razionali e maturi. Emergono il bisogno di difendersi, di avere l’ultima parola, di non sentirsi dalla parte del torto. Per questo l’addio assume facilmente forme brusche, sproporzionate, persino ingiuste.
Il distacco, infatti, non è soltanto una decisione pratica; è una piccola morte dell’immagine di coppia, delle promesse e delle possibilità immaginate. La sofferenza rende difficile preservare eleganza e misura. In certi casi, un taglio netto e doloroso diventa l’unica via per separarsi davvero, per impedire che la relazione continui in forme ambigue, logoranti, piene di ritorni e ripensamenti. La conclusione aspra, pur nella sua durezza, può allora avere una funzione liberatoria: segna un confine preciso, rende irreversibile la scelta, costringe a guardare in faccia la realtà della fine. Non c’è romanticismo nel modo in cui ci si lascia, ma un misto di imperfezione umana e necessità di chiudere, anche a costo di ferire e ferirsi.
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