Odierò, se mi sarà possibile, altrimenti amerò mio malgrado.
— Ovidio
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La nostra interpretazione
Nel profondo della persona che parla si agita un conflitto irrisolto tra rifiuto e attrazione. La volontà vorrebbe respingere il sentimento, scegliere il distacco, magari per difendersi dal dolore o dalla vulnerabilità. L’odio viene evocato come un’armatura, come un gesto estremo di autodifesa: se riuscisse a detestare l’altro, sarebbe più facile proteggersi, cancellare l’attaccamento, chiudere la ferita. Tuttavia, questa stessa volontà si scopre impotente di fronte alla forza dell’emozione. Il cuore continua ad amare anche contro ogni proposito razionale, quasi per istinto inevitabile. Ne emerge un’immagine potente dell’amore come qualcosa che sfugge al controllo, che si impone oltre la scelta, oltre la convenienza e persino oltre il desiderio di liberarsene. Il sentimento appare come una condanna dolce e insieme dolorosa: si desidera smettere di sentire, e invece l’affetto cresce proprio nella resistenza. In questo contrasto tra la decisione di odiare e l’impossibilità di smettere di amare si rivela quanto siano fragili i confini dell’io di fronte alle passioni. L’animo umano si trova diviso, incapace di allineare cuore e volontà, e condannato a vivere un amore che non ha scelto, ma che lo abita comunque, senza chiedere permesso.